L’Isola del tesoro che (forse) c’è

<strong>L’Isola del tesoro</strong> che (forse) c’è

C’è una Sicilia ancora tutta da scoprire a patto che impariamo a rispettarla.

Non solo le sette meraviglie Unesco. C’è una Sicilia ancora tutta da scoprire, da ammirare, da imparare ad amare. Fatta di bellezze storiche, paesaggi mozzafiato, oasi verdi e pezzi di storia a testimonianza di quel crocevia millenario di cultura del Mediterrano che è l’Isola. Una Sicilia fuori dai circuiti turistici, fuori dalle strategie di pianificazione territoriale nonostante promesse e sforzi. Sicilia

«C’è davvero un patrimonio inestimabile ancora nascosto – commenta Aurelio Angelini, presidente della Fondazione del patrimonio Unesco Sicilia e del Comitato nazionale scientifico del Decennio dell’Unesco per l’Educazione allo sviluppo sostenibile – una regione ancora da scoprire. Ma è anche vero che bisognerebbe intanto saper gestire bene i tesori di cui disponiamo, colmando alcune carenze decennali. E, poi, dare lustro a una quantità elevata di patrimonio non fruibile perché non esiste un sistema, o meglio una progettazione di fruizione del sistema culturale regionale. Una pianificazione che comprenda le piccole cose, ma fondamentali: i servizi, l’offerta turistica di pacchetti territoriali, l’accesso al patrimonio. E ciò non solo ad agevolare la visita ai luoghi ma anche ad avviare un circuito economico virtuoso capace di tracciare un percorso a tappe legate alle eccellenze del territorio».

Dunque cultura, paesaggio, natura ma anche enogastronomia, artigianato, tradizioni popolari. Ovvero quell’integrazione dei beni culturali nel tessuto economico siciliano di cui si parla da decenni senza trovare la giusta chiave.

«Si è provato con alcuni strumenti – prosegue Angelini, docente all’Ateneo di Palermo – tra cui anche i distretti turistici, ma in realtà manca la pianificazione di sistema. Manca un trasferimento di questa pianificazione nei sistemi infrastruttuali organizzativi: a partire dalla mobilità». Il professore Angelini fa un esempio accennando al sito di maggiore attrazione in Sicilia: Taormina. «Se provassimo ad offrire altre mete ai turisti che arrivano in questa città – dice – proponendo pacchetti nel segno della cultura greca e dunque un tour che da Taormina conduca a Siracusa, ad Agrigento, a Segesta e Selinunte, rimarrebbe solo una bella idea perché manca, del tutto, il sistema della mobilità pubblica. E allora da qui occorre partire».

Lo scenario diviene più complicato ancora quando si parla di alcuni dei borghi più suggestivi della Sicilia, luoghi di grande bellezza e valenza storica e culturale ma fuori dai circuiti, esclusi dalla carenza di servizi, di infrastrutture, di coordinamento tra le altre realtà turistiche limitrofe. Accade così che mete per antonomasia di visitatori non siano in grado di promuovere quel che hanno accanto.

A Siracusa, per esempio, il Parco della Neapolis con il suo Teatro greco è tappa indiscussa per 500mila turisti all’anno ma, di questi, poco più di un terzo va a visitare il vicino museo archeologico “Paolo Orsi” e ancora meno si sposta in provincia, per ammirare Pantalica, il Val di Noto o le altre bellezze del comprensorio perché manca la corretta informazione. Mancano i servizi, le strade, i segnali stradali, i siti internet ad hoc.

«Non esiste un sistema del governo integrato – aggiunge Aurelio Angelini -. Quasi sempre accade che nel sistema politico ognuno gestisca un assessorato come fosse una baronia e guardi gli interessi esclusivi del proprio settore, non si riesce a fare una politica di sistema che richiede uno slancio progettuale e interventi funzionali».

Nevralgico, in tale contesto, dev’essere il ruolo dei privati che, però, rerestano ai margini. Dovrebbero essere loro a volere con forza una progettazione di sistema, come sottolinea il presidente della Fondazione Unesco. Dovrebbero loro farsi promotori di un progetto partecipato. Ed è l’integrazione tra pubblici e privati che rappresenta la sfida della sfida per i beni culturali siciliani: riuscire a progettare la fruizione del territorio che metta insieme patrimonio culturale, naturalistico, eccellenze enogastronomiche e tradizioni. Elementi identitari della Sicilia su cui costruire una nuova attrattività che guardi al passato ma sia capace di proiettarsi nel futuro e, soprattutto, renda partecipi i cittadini. E’ la società a dover avere coscienza di quel che possiede, imparando a conoscere e rispettare il patrimonio attorno a sé.

«Manca l’intelligenza politica ma non solo – commenta il professore Angelini –. La consapevolezza del patrimonio di cui disponiamo è poi l’elemento cruciale: noi abbiamo una classe politica con i limiti che conosciamo anche perché manca la cognizione da parte della società che questo patrimonio rappresenti un cardine su cui fare economia. Se scatta questa consapevolezza da parte dei cittadini allora si potrà mettere in moto un meccanismo nuovo con conseguenti scelte politiche. E’ questa la precondizione per poter al meglio valorizzare i nostri territori, altrimenti la deriva della classe dirigente che non sa costruire attrattive continuerà».

Angelini accenna alla capacità di costruire idee e progetti per la valorizzazione del patrimonio “debole” da parte di altre Nazioni, come l’Inghilterra e, soprattutto, l’America.

«Ciò dimostra come un Paese che abbia a cuore la promozione dei suoi beni sappia puntare sui suoi tesori e costruire attorno servizi capaci di aumentare la capacità attrattiva attraverso un marketing territoriale che permette di sopperire alla debolezza del prodotto turistico. Noi abbiamo abbondanza di beni e, invece, ci mancano tutti gli altri ingredienti. Non basta, dunque, avere un patrimonio blasonato come quello dell’Unesco e una vastità di tesori diffusi in tutta l’Isola ma occorre individuare i percorsi corretti, modelli e infrastrutture che ci permettano di fare quel matrimonio tra risorse e capacità di utilizzarle che ci manca. Abbiamo una Ferrari ma è ferma ai box».

Fonte: la sicilia

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