Gesualdo Bufalino. La Sicilia del dopoguerra nel romanzo “Diceria dell’untore”

<strong>Gesualdo Bufalino</strong>. La Sicilia del dopoguerra nel romanzo “Diceria dell’untore”

Last updated on Ottobre 1st, 2012 at 03:59 pm

Gesualdo Bufalino

La Sicilia del dopoguerra acciaccata dagli strascichi del conflitto mondiale ma sempre luminosa, profumata di zagara e ricca di forti passioni. E’ questo lo sfondo di «Diceria dell’untore», il romanzo di Gesualdo Bufalino pubblicato poco più di trent’anni fa e trasposto con successo, nel 1990 nel cinema e, nel 2009, in teatro (il nostro Stabile catanese). Un libro autobiografico molto amato per il suo affascinante stile letterario intriso di lirismo che ne ha fatto un classico; e ancora attuale dato che il film viene non di rado riproposto nelle tv e inoltre considerato l’indubbio valore drammaturgico della trasposizione scenica apprezzata da un folto pubblico.

La storia si svolge nell’arco di alcuni mesi a partire dall’estate del ’45. Il protagonista è Angelo, un giovane reduce dalla guerra «con un lobo di polmone sconciato dalla fame e dal freddo». Il malato di tisi (che poi è, ribadiamo, lo scrittore comisano, il quale visse questa drammatica esperienza), giunto alla «Rocca», sanatorio del Palermitano, entra nelle simpatie del primario, il «Gran Magro», un mefistofele alcolizzato attirato forse più dalla bottiglia di porto che dai progressi del paziente. Presto tra loro si interpone Marta, ex danzatrice scaligera, ex kapò in un lager ed ex amante di un ufficiale delle SS ora logorata dalla tubercolosi e costretta dal «Gran Magro» a ballare per lui nello squallido teatrino del lazzaretto.

Gli sforzi fisici sfiancheranno e faranno sanguinare dalla bocca la donna, che mantiene tuttavia una solare bellezza non ancora corrotta dalla malattia e dalle frequenti emottisi. Fra Angelo e Marta nasce l’amore e, per vivere la loro intimità senza rischiare d’essere sorpresi dallo scorbutico, minaccioso primario, i due sono costretti a incontrarsi fuori dal sanatorio, in una pensioncina che sarà la loro alcova e il letto di morte della donna, che spirerà fra le braccia dell’amato. Anche il «Gran Magro» morirà, ma di cirrosi, assistito dalla sua fida Madre superiora di lui innamorata persa fino alla fine. Tra tutti si salverà Angelo-Bufalino, che tornerà nella sua Comiso affranto, svuotato per aver perso la donna della sua vita.
Qualche volta incontravo, io comisano di adozione, lo scrittore che parlava pacatamente, quasi con un filo di voce, durante le sue serene passeggiate estive al viale della Resistenza o in piazza Fonte Diana, nella cittadina di pietra bianca del Ragusano. Ed ero presente anche alla prima nazionale dell’omonimo film diretto da Beppe Cino proiettato nel cinema che ha proprio il nome della piazza barocca, quando la protagonista Lucrezia Lante della Rovere (che nella finzione interpreta Marta) disse al nutrito pubblico: «Devo confessarvi una cosa: mi sono innamorata di Gesualdo Bufalino!». Poi aggiunse: «E’ impossibile non provare emozioni nei confronti di un autore che sa scrivere di amori laceranti e disperati con tale energia e senza ombra di retorica. Il mio è ovviamente un innamoramento letterario».
Bufalino rispose, con composta e signorile autoironia, d’essere lusingato ma di non avere «i numeri per fare innamorare una donna così seducente e giovane come la signora Lante della Rovere». Nel cast del film anche Franco Nero, Fernando Rey e Vanessa Redgrave.
Poi tre anni fa, come detto, «Diceria dell’untore» diventa un avvincente spettacolo teatrale presentato allo Stabile etneo nell’adattamento di Vincenzo Pirrotta che dà anche volto e voce al perfido «Gran Magro», mentre il ruolo di Angelo (nel film impersonato da Franco Nero) è qui affidato a un ottimo Luigi Lo Cascio. Nel cast scenico pure Vitalba Andrea e Giovanni Argante.

Il libro non ebbe una facile gestazione. Addirittura Bufalino cominciò a scriverlo più di trent’anni prima, nel 1950, per poi darlo alle stampe da Sellerio, sei lustri più tardi. Un trentennio per decidere, cominciare, rivedere, poi interrompere e infine tornare a raccontare un’esperienza dolorosa, un amore finito tragicamente, un sentimento che forse egli avrebbe voluto mantenere nascosto, per questo i lunghi anni di «sedimentazione» in un cassetto. Poi, dopo tanto tempo, la ritrovata, definitiva volontà di rendere pubblico quell’amore, nella consapevolezza che un grande, immenso amore non può, non deve restare segreto.

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