L’amicizia e il tradimento. L’amicizia é una merce immensamente unica e rara

<strong>L’amicizia e il tradimento</strong>. L’amicizia é una merce immensamente unica e rara
Alda Merini
(21 marzo 1931 – 1 novembre 2009)

Più dell’amore è l’amicizia.
È più interessante, è più importante un amico che un amante.

Alda Merini

Non è così facile come può sembrare, anche se tutti si riempiono la bocca con questa parola, pochi ne conoscono il significato profondo e meno ancora sono quelli che la vivono in maniera autentica e coerente.

L’amicizia è una relazione e certamente non si tratta di un sentimento.

L’amicizia è una relazione complessa fra un io e un tu la quale, nelle forme più basse, nasce solo da un reciproco interesse materiale mentre in quelle più alte coinvolge un terzo soggetto, un Tu trascendente che ne diviene il prezioso testimone, la roccia e il solido fondamento sul quale la relazione si appoggia.

Né si creda che quest’ultima forma di amicizia sia esclusiva di coloro che si muovono entro una prospettiva religiosa e che fondano in Dio il fatto umano dell’amicizia verso un proprio simile. Chiunque concepisca l’amicizia come qualcosa di sacro, implicitamente chiama a testimonio di essa quel Tu trascendente di cui si diceva. Non sarà concepito come Dio, ma come il senso della giustizia, della verità e dell’onore; non importa: svolgerà la stessa funzione. Un ateo può vivere l’amicizia nel senso più alto, altrettanto nobilmente di un credente.

Una sola cosa è essenziale alla forma più alta e più vera dell’amicizia, la quale la distingue dalle sue scadenti e numerose imitazioni: che sia una relazione tra buoni. Tra i buoni, ciò che viene reciprocamente scambiato è il bene e questo mette in movimento un circuito virtuoso, per cui una tale amicizia renderà i contraenti sempre migliori, non solo nei loro rapporti reciproci, ma anche in se stessi.

Se così intesa, l’amicizia è una merce estremamente rara.

Né è possibile una vera amicizia tra due persone che si trovino su livelli di evoluzione spirituale troppo differenti. Nel rapporto tra maestro e discepolo, ad esempio, vi può essere affetto, ma non autentica amicizia; perché l’amicizia è una relazione fra pari. In compenso, può accadere che si crei un malinteso: che due persone, cioè, credano di trovarsi su un medesimo livello evolutivo, mentre non lo sono.

Questo accade facilmente quando il sentimento dell’amicizia si intreccia con quello dell’amore spirituale, con il quale condivide l’esigenza primaria di veder realizzato il bene dell’altro. Quando, ad esempio,  un uomo e una donna si sentono attratti l’uno verso l’altra da un insieme di stima, ammirazione, benevolenza, affetto e riconoscenza, è praticamente impossibile separare la dimensione dell’amicizia da quella dell’amore. Di per sé sono due modi di relazione ben distinti, ma in pratica, nella vita le relazioni non si presentano mai allo stato puro e questo vale anche per l’amicizia e l’amore.

Dunque, l’amicizia può comprendere l’amore, ma l’amore non può comprendere l’amicizia. Infatti, tra le due, è l’amicizia la relazione più pura e disinteressata, dunque la più elevata; e ciò che sta più in alto può comprendere ciò che sta più in basso, ma non è possibile il contrario. Questo va contro il sentire comune: si pensa che l’amore sia una relazione più grande dell’amicizia, proprio perché li si pensa, entrambi, come sentimenti e non come relazioni. In realtà, una relazione esprime, sempre, anche un sentimento (non solo per le persone, ma anche per le cose o per delle entità astratte: l’affetto per la propria casa, l’amore per la giustizia, ecc.); ma un sentimento può non esprimere alcuna relazione. Infatti l’amore, come sentimento, può anche non venire ricambiato, ed essere perciò a senso unico; ma, per essere una relazione, deve sempre essere reciproco. Mentre l’amicizia non può che essere reciproca, perciò non può essere che una relazione: non esistono amicizie non ricambiate, al massimo vi sono simpatie non ricambiate. Ma la simpatia è una cosa totalmente diversa dall’amicizia.

In questo, si può facilmente comprendere come il tradimento dell’amicizia sia l’atto moralmente più grave fra quanti caratterizzano la vita quotidiana. Vita quotidiana, perché esistono circostanze eccezionali, la guerra ad esempio, nelle quali l’essere umano è capace di crimini anche peggiori. Ma, se la violenza fisica è quella che maggiormente colpisce la nostra sensibilità e commuove la facoltà immaginativa, non bisognerebbe dimenticare che esistono dei veri e propri crimini a danno del prossimo, nei quali non viene versata una sola goccia di sangue, ma che possono segnare per sempre la vita di una persona.

Poniamo il caso in cui l’amico venga tradito dall’amico (o dall’amica), ossia da colui (o colei) al quale aveva aperto interamente il proprio cuore, per il cui bene avrebbe tutto sacrificato, del quale non aveva mai dubitato e nel quale aveva sempre riposto la più completa, assoluta fiducia.

Tradire chi si fida di noi, insegna il buon vecchio Dante, è molto più grave che tradire colui che sta sull’avviso, è per questo che i traditori degli amici, dei parenti e dei benefattori vengono gettati nell’abisso più profondo del suo Inferno. Ma colui che si fida più di ogni altro è l’amico, dunque, tradire l’amico significa commettere il crimine più odioso, il più imperdonabile.

In generale, oggi si ha un’idea riduttiva del concetto di amicizia. È per questo che il suo tradimento non desta particolare indignazione, se non quando se ne fa la personale esperienza. I sociologi, in particolare, sono propensi a non vedere nell’amicizia che una delle tappe della maturazione psicologica dell’individuo, e tendono a considerarla una tipica espressione dell’adolescenza o della pre-adolescenza. Il fatto di cominciare ad avvertire il bisogno di amici, in quella fase della vita umana, perciò, viene visto come una conferma che lo sviluppo affettivo procede in maniera “normale”.

In realtà, se l’amicizia è vista come una relazione normale tra due persone, si perde di vista la sua essenza, ossia la sua eccezionalità. Se per normale si intende qualcosa che capita frequentemente e che non desta particolare meraviglia, allora l’amicizia autentica è una relazione decisamente “anormale”. Nell’amicizia autentica, si prova un tale slancio di affetto per l’amico o per gli amici, che si sente come “normale” l’eventualità più contraria al maggiore istinto dell’uomo, quello di conservazione: dare spontaneamente la propria vita per loro come atto estremo della donazione di se stessi.

Ecco perché nell’amicizia vi è una dimensione di sacralità. La relazione dell’amicizia scandisce un tempo sacro e un luogo (figurato) altrettanto sacro: come fosse un tempio, nel momento di una solenne cerimonia liturgica. Ad esempio, deporre un segreto nell’orecchio di un amico significa deporlo in una custodia sacra, dalla quale sarebbe sacrilego l’atto di estrarlo e propalarlo ad estranei.

Il tradimento dell’amicizia può prendere varie forme, ma raramente arriva alla forma più bassa: il nuocere, intenzionalmente e con premeditazione, all’amico che di noi si fida, magari utilizzando a suo danno qualche cosa di sé che ci ha confidato in segreto.

Più frequente è il caso dell’amicizia improvvisamente respinta, per i motivi più vari,  dopo che tra i due amici si è stabilito un grado di confidenza tale, da instaurare una totale apertura e una completa fiducia.

Ciascuno di noi ha la tendenza a proteggersi, nell’avventura della vita, con delle difese più o meno elaborate, più o meno permanenti. In genere, chi molto ha sofferto, cerca anche di proteggersi maggiormente, a meno che il dolore gli abbia insegnato la verità più alta e difficile: che per non rischiare di essere ferito in profondità bisogna avere il coraggio di esporsi.

Nella relazione dell’amicizia, così come in quella dell’amore, le difese vengono abbassate, fino a giungere al completo abbandono di sé; e non è raro che ciò avvenga dopo un periodo iniziale di esitazione, di timore, di diffidenza, perfino di angoscia. Aprirsi all’altro, significa esporsi alle ferite; ma l’amicizia richiede che si corra questo rischio, che è un vero e proprio test preliminare, la condizione sine qua non perché essa sia resa possibile.

Invitare l’altro ad aprirsi, ad abbassare le difese, a confidarsi: ecco qualcosa che non si avrebbe il diritto di fare, se non si è più che sicuri di sapersi assumere l’impegno che ne scaturisce quale logica e naturale conseguenza: quello di essere fedeli all’amico, sempre: a qualunque costo e in qualunque circostanza.

Invitare l’altro ad aprirsi, ad abbassare le difese, a confidarsi; e poi respingerlo bruscamente, rifiutargli una spiegazione, negargli una parola buona o rifiutare una offerta di riconciliazione: ecco l’azione più vile, più abietta, più miserabile che si possa compiere.

Il fatto è che l’amicizia non è solo una relazione fra un io e un tu, ma richiama anche un terzo soggetto. Quest’ultimo può anche essere, semplicemente, la verità: la verità di quell’io, di quel tu e del loro sublime incontro; ma in ogni caso esiste, e ne è per così dire il suggello.

Tradire l’amicizia, significa tradire quel terzo che era presente, fin dall’inizio; vuol dire anche, di conseguenza, tradire la parte più vera di se stessi. Tradendo l’amico, si perde il proprio onore, la propria pace, la propria anima; significa venire condannati dal giudice più severo che esista: la propria coscienza. La quale può anche cercare d’ingannare se stessa, mettendo a tacere scrupoli e rimorsi. Niente da fare: la cattiva azione grida vendetta dal profondo dell’io, e niente e nessuno potranno mai sradicare quell’urlo di dolore.

Vi sono persone che vivono in uno stato di tranquilla disperazione, simulando una pace interiore che hanno perduta per sempre, ad esempio dopo aver tradito l’amico nel modo più egoistico e vergognoso. Hanno poi fatto del proprio meglio per rimuovere quella colpa, oppure hanno elaborato cento giustificazioni per autoassolversi; ma stanno barando con la propria coscienza, e lo sanno. Tradendo l’amicizia, hanno ucciso la parte migliore di se stesse: non osano perdonarsi né chiedere perdono, e si condannano da sé a una punizione che non ha fine e che non redime, perché non conduce all’espiazione.

Espiare, vuol dire riconoscere il male commesso e assumersene la responsabilità, lealmente e coraggiosamente. Ma il falso ego non accetta una tale soluzione; preferisce aggrapparsi a mille scuse, andare avanti facendo finta di niente. E si condanna, senza possibilità di remissione, all’inferno della cattiva coscienza. Ve ne sono molte, di persone che vivono così. Ossessionate, possedute dalle furie infernali della propria cattiva coscienza.

Ma perché stupirsene?. Nell’amicizia, ciascuno mette in gioco quanto di più prezioso possiede.  La posta è alta. Chi tradisce l’amicizia, distruggere anche la stima di se stesso.

Ecco perché Nietzsche osserva che si può sempre perdonare il tradimento che l’amico ha fatto a nostro danno, ma è impossibile perdonargli il tradimento che ha fatto di se stesso.

Liberamente tratto da “È il tradimento dell’amicizia il peccato che non sarà perdonato”
di Francesco Lamendola

Alda Merini

Il primo novembre ricorre il terzo anno della scomparsa di Alda Merini, poetessa dall’animo libero, dalla vita imprevedibile e poco scontata, è difficile cercare in poche righe di descrivere quello che Alda fu dentro la vita mortale. Lei la folle poetessa, che usava i muri di casa come una normalissima rubrica telefonica, lei che amava svolazzare come ape sui verdi giardini del mondo reale.

Per il suo calvario, molti sostengono che fosse ai margini della vita, per il suo attento occhio nei raffronti all’anima sostengono che fosse folle.

Io, preferisco ricordarla come una navigatritre dell’anima nell’essere umano, lei che ha saputo solcare i mari tempestosi della sua folle mente. Così, semplicemente come la sua leggerezza.

La semplicità

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto.

Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore.

Alda Merini

 

Nicola Napoli

 

Scrivi un commento da Facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *