Cancro nei Paesi a basso reddito, il contributo di un ingegnere siciliano ad un progetto dell’OMS

Cancro nei Paesi a basso reddito, il contributo di un ingegnere siciliano ad un progetto dell’OMS

Su The Lancet Oncology, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, sono stati appena pubblicati gli esiti di un importante progetto di ricerca condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) finalizzato alla definizione di una lista di dispositivi e apparecchiature mediche prioritarie per la diagnosi e cura del cancro nelle nazioni a basso e medio reddito.

Al progetto ha partecipato attivamente Antonio Migliore, ingegnere biomedico menfitano che si occupa di valutazione delle tecnologie sanitarie. Direttore scientifico di EuroScan, società scientifica sulle tecnologie emergenti, e autore di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali, Migliore collabora da più di dieci anni con Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, per conto della quale segue attività di ricerca in ambito europeo e nazionale e produce rapporti di valutazione sulle tecnologie sanitarie.

– Ing. Migliore, lei è uno degli autori di questa ricerca. Può descriverci brevemente il progetto?

L’ing Antonio Migliore

“L’idea nasce nel 2015. Erano stati messi a disposizione dei fondi per supportare i paesi a basso e medio reddito in politiche per la gestione delle patologie oncologiche. In questi contesti, spesso, le poche risorse economiche sono gestite con difficoltà o in modo poco appropriato poichè risulta difficile stabilire che tipo di servizi offrire e quali tecnologie specifiche usare. Servivano degli strumenti per supportare scelte di questo tipo. Così abbiamo identificato cinque patologie oncologiche con elevata incidenza negli adulti, quali il cancro al seno, alla cervice, alcolon-retto, al polmone ed alla prostata, e incluso anche le leucemie, particolarmente rilevanti per le popolazioni pediatriche. Ci siamo concentranti sull’intero percorso della malattia, quindi dalla diagnosi, al trattamento, fino alle cure palliative. Per ciascuna di queste fasi, abbiamo individuato quelle procedure cliniche raccomandate dalle maggiori società scientifiche internazionali e, per ciascuna procedura, abbiamo definito quali dispositivi e quali apparecchiature erano necessarie. Lo scopo era quello di costruire una sorta di manuale.”

– E’ stato quindi un lavoro lungo, svolto da un gruppo multidisciplinare, giusto?

Certamente. Era necessaria alta specializzazione e continui confronti con le realtà locali dei paesi a basso e medio reddito. Abbiamo coinvolto più di 150 esperti in diverse discipline (ingegneri, oncologi, radiologi, ginecologi, anatomopatologi, ecc.) provenienti da paesi come Bhutan, Etiopia, Ghana, India, Sri Lanka, Uganda, Zambia. Abbiamo organizzato un primo incontro a Ginevra, presso la sede dell’OMS, altri in Asia  Africa, e tantissimi e-meeting. Inoltre, società scientifiche tra le più rappresentative (es. ESMO, ASCO) hanno fornito ampia collaborazione.

– Quale è stato il suo ruolo?

“Sono stato selezionato e coinvolto per via della mia esperienza nel campo dell’Health Technology Assessment (HTA), che consiste nella valutazione comparativa delle tecnologie sanitarie. Tuttavia, in questo progetto, ho passato in rassegna decine di linee guida cliniche internazionali, identificando e descrivendo le procedure raccomandate. Ho inoltre supportato le fasi successive, analizzando e integrando i contributi degli esperti e delle organizzazioni coinvolte.”

– Quali sono stati i risultati principali?

“Innanzitutto il manuale, che l’OMS ha reso disponibile sul proprio sito e si sta impegnando a distribuire attraverso eventi istituzionali. Parliamo di una guida che comprende più di mille dispositivi medici necessari per eseguire circa 250 procedure, organizzati secondo il loro contesto di utilizzo. Si va dai guanti in lattice alle grandi apparecchiature di diagnostica per immagini. Tuttavia, il metodo che abbiamo utilizzato è stato ben accolto da esperti, organizzazioni e dalla comunità scientifica (e l’articolo su The Lancet Oncology ne è la prova). Potrebbe essere impiegato per un progetto simile, orientato su patologie di altro tipo. A mio parere, anche questo è un risultato importante.”

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