Alimentazione e neoruralità. “L’uomo è ciò che mangia”

<strong>Alimentazione e neoruralità</strong>. “L’uomo è ciò che mangia”

“Der mensch ist vas er isst” l’uomo è ciò che mangia dice Ludwig Feuerbach. Le nostre popolazioni rurali con altrettanto praticità rispondevano: “adinghi la panza, adinghila puru di spini” (riempi la pancia, riempila anche se, di spine).

Alimentazione e neoruralità

Un motto che nella sua semplicità assicurava che tutto ciò che era naturale poteva essere considerato alimento, era commestibile, insomma il “cibo” era tutto ciò che poteva essere mangiato. Certo erano tempi in cui l’ingiustizia sociale faceva da corollario alla povertà e alla fame. Eppure la povertà alimentare rurale spesso non era disgiunta da una “abbondanza frugale” un apparente ossimoro ma contrariamente alle condizioni di oggi, che pur paradossale che possa sembrare, al limite della illogicità, siamo perennemente satolli e sovralimentati, ma sottonutriti. La quantità primeggia sulla qualità, i macronutrienti prevalgono sui micronutrienti. Insomma in questi nostri tempi moderni non abbiamo un buon rapporto col cibo, (e non solo!) un giusto e misurato equilibrio: viviamo in una perenne esasperata apprensione, una fame insaziabile!.

Le ragioni sono molte e complesse, le dinamiche economiche che caratterizzano le vicende storiche dell’ultimo secolo, non hanno risparmiato il cibo, l’alimento, che da un bene atto a soddisfare un bisogno diviene merce, cosi il suo valore di scambio prevale o sopprime il valore d’uso.

Ma che cosa è successo alla nostra agricoltura? Quali profonde modifiche abbiamo apportato alla filiera alimentare? Cosa hanno di diverso i nostri alimenti rispetto a quelli consumati dalle nostre nonne?

Comprendere la natura di tali cambiamenti può aiutarci a capire come potremmo modificare il nostro rapporto con il cibo, per il nostro benessere e la nostra salute. Fin dai tempi fondativi dell’evoluzione degli ecosistemi, convergenti verso una sempre maggiore complessità, l’atto del “mangiare” è stato una relazione tra specie all’interno di sistemi che oggi chiamiamo catene o reti alimentari, oggi, vanno dall’uomo e scendono giù fino al terreno. Le specie vegetali ed animali sono entrati in una interattività , una relazione “coevolutiva”, si evolvono congiuntamente con quelle di cui si nutrono, sviluppando un legame di interdipendenza.

Dicono le piante: “io ti nutrirò se tu propagherai i miei geni”. Un adattamento reciproco trasforma progressivamente una mela in un frutto nutriente e gustoso per un animale, e col tempo attraverso tentativi ed errori la pianta in generale diventa più appetitosa, dolce e attraente al fine di catturare l’attenzione dell’animale e appagare i suoi bisogni, i suoi desideri. Al tempo stesso l’animale acquisisce gradualmente gli strumenti digestivi come ad esempio gli enzimi. Nella catena alimentare è fondamentale che gli elementi abbiano un buon grado di benessere perché un disturbo potrebbe ripercuotersi su tutti gli altri organismi che ne fanno parte. Cosi, se un suolo è malato non strutturato o in qualche modo carente di qualche elemento nutritivo, si ripercuoterà sull’erba che vi cresce sopra, debole e malaticcia . La stesso varrà per le mucche che brucano quell’erba e infine per le persone che bevono il loro latte. La lunga familiarità tra certi alimenti e i loro consumatori ha dato luogo ad elaborati sistemi di comunicazione, sia verso l’alto che verso il basso della catena, cosicché gli organi di senso finiscono per riconoscere i cibi che conviene mangiare dall’odore, dal colore dal sapore.

Perciò la maturazione dei frutti e spesso segnalata da un odore caratteristico, un colore brillante, un sapore tipicamente dolce, ma che opportunamente corrisponde al momento in cui i semi della pianta sono pronti per andare via e germinare e non a caso coincide con la massima concentrazione di nutrienti e digeribilità. Oggi, invece i cibi sono espressamente progettati per ingannare i nostri sensi, attraverso aromi artificiali e dolcificanti sintetici depistando il nostro odorato e l’olfatto.Con l’avvento dell’agricoltura, diecimila anni fa, avvenne un grande mutamento che peggiorò la salute dell’uomo, provocando ogni sorta di carenza nutrizionale e non poche malattie infettive, messe sotto controllo solo nell’ultimo secolo. Ma il vero disastro lo abbiamo commesso nell’ultimo secolo: dal terreno fino ad arrivare al piatto sulla tavola, l’agricoltura industrializzata ha operato in una sola direzione, ovvero la semplificazione sia chimica che biologica.

La nutrizione delle piante è affidata a tre macronutrienti N, P, K, trascurando l’importanza dell’attività biologica del suolo, il contributo alla salute delle piante, dal complesso sistema sotterraneo di batteri, lombrichi, funghi micorrizici. Le piante oggi sono più vulnerabili ai parassiti e alle malattie e sembra si siano ridotte le loro qualità nutrizionali. Questa agricoltura ha “estratto” dalla terra i macronutrienti con un apporto di calorie non indifferente, ma questo guadagno quantitativo è avvenuto a spese della qualità Cosi la vitamina C è diminuita del 20% il ferro del 15%, il calcio del 16% e le riboflavine del 38%, una vera inflazione nutrizionale tanto che tra qualche tempo dovremmo mangiare tre mele per avere la stessa quantità micronutriente di una. Ma al declino della qualità ha contribuito la genetica e la selezione, indirizzata prevalentemente in funzione delle rese. Le nuove varietà di frumento nell’ultimo mezzo secolo hanno triplicato le rese ma ridotto, per esempio il ferro del 28%, lo stesso dicasi per gli ortaggi come per le mucche da latte. Ma non è finita, perché al peggio non c’è limite! La sciagura alimentare l’abbiamo compiuto negli ultimi decenni, passando dalla “foglia” al “seme” ovvero dall’utilizzo a fine alimentare dalle strutture foto sintetiche “dirette” alle strutture conservative tipo cariossidi delle piante.

Ebbene, ci siamo chiesti perché il 75% del fabbisogno calorico e soddisfatto da 4 colture: mais, soia, grano e riso e le loro coltivazioni interessano buona parte della superficie del pianeta?

Per la semplice ragione che sono particolarmente adatti alle esigenze del capitalismo agroindustriale in particolare il mais e la soia. Queste piante sono eccezionalmente efficienti (mais c4) nel trasformare l’energia del sole, i fertilizzanti, l’anidrite carbonica e l’acqua in carboidrati ,lipidi e proteine racchiuse nel seme i quali possono essere vantaggiosamente convertiti in carne, latticini, uova ecc. I semi possono essere facilmente trasportati per lunghe distanze, stoccati per prolungati periodi e lavorati nei modi più disparati (vedi mais).

Ma, il diavolo fa le pentole ma si dimentica i coperchi, infatti la convenienza dell’agroindustria non coincide con le esigenze nutrizionali dell’essere umano che si è visto stravolto il modello alimentare dalle fondamenta, le cui conseguenze solo da poco tempo riusciamo a coglierne le implicazioni. Ma cosa hanno di particolare le “foglie” intese nella loro eccezione di frutta ,verdura ortaggi che i semi (cariossidi ) non hanno?

Le foglie forniscono nutrienti essenziali al nostro organismo come antiossidanti, fitonutrienti, fibre e soprattutto acidi grassi omega 3. Ma gli omega 3 non si trovano nel pesce? Si ma la ricchezza di questi acido grasso lo troviamo in alcuni tipi di pesce (azzurro) che si nutrono di piante verdi specificatamente di alghe. Ma, benedetto iddio, se lo producono le alghe, piante primitive perché non dovrebbero produrlo le foglie di cavolo, lattuga o spinacio? Ebbene, si, le foglie delle piante verdi producono questi acidi grassi nella membrana cellulare dei cloroplasti dove contribuiscono alla captazione delle radiazioni luminose . Invece i semi, i cereali in genere sono ricchi di omega 6 che servono come riserva di energia per lo sviluppo dell’embrione, ovvero della futura piantina.

Per capire il ruolo di questi due acidi, omega 3 e omega 6 bisogna leggere l’affascinante libro di Susan Allport: “The Queen of fats”. Questi due acidi essenziali hanno funzioni diversi nel nostro organismo. Gli omega 3 hanno un ruolo importante nello sviluppo funzionamento del cervello nella permeabilità delle pareti cellulari, nel metabolismo del glucosio, nel controllo delle infiammazioni ecc. Gli omega 6 sono implicati nell’accumulo dei grassi nella rigidità delle pareti cellulari nella coagulazione del sangue. Poiché i due acidi competono tra di loro per lo spazio nelle membrane e per l’attivazione dei vari enzimi, è di estrema importanza è il mantenimento di un giusto rapporto tra i due acidi. Ebbene nella dieta delle nostre nonne il loro rapporto era di 1/3 , oggi siamo arrivati a 1/12.

Ciò che vale per noi e valso per gli animale, i quali sono stati privati del loro cibo naturale ovvero erba e foglie e sono stati rimpiazzati con sfarinati ipercalorici a base di mais e soia. Con quale risultato? A parte lo stato di salute precario e il costante ricorso a sulfamidici e antibiotici,sono diminuiti ,nelle carni ,nel latte e nelle uova gli omega 3 e aumentate gli omega 6, inoltre spesso la selezione delle piante coltivate ha un tenore in omega 3 nettamente inferiore a quelle spontanee vedi il caso della Portulaca o di alcune chenopodiacee.

Molti studiosi sono convinti che questi livelli storicamente bassi di omega 3 e di contro, invece sensibilmente alti per gli omega 6, siano responsabili di buona parte delle malattie croniche (cardiovascolari, diabete ecc.), sono da associare esclusivamente al nostro modello di agricoltura e allo stile alimentare.

Una alimentazione degli animali a base di erba, ovvero pascoli, magari polifite cambiano radicalmente il profilo nutrizionale dei prodotti come la carne, il latte formaggi e le uova. Non sono assolutamente commensurabili con quelli provenienti da allevamenti a stabulazione fissa e nutriti con sfarinati di soia e mais , perennemente ammalati e imbottiti preventivamente di antibiotici.

“Mangiare è un atto agricolo” disse con felice espressione Wendell Berry. Noi possiamo non essere solo semplici consumatori passivi, ma compartecipi della creazione dei sistemi che ci nutrono
Secondo come spendiamo il nostro denaro nell’acquisto dei cibi, possiamo sostenere una agricoltura industriale indirizzata alla quantità, alla sola convenienza, i cui “valori” sono indifferenziati, omogeneizzati, banalizzati. Possiamo, di contro, spendere il nostro denaro per alimenti trasparenti intrisi di “valori” come la qualità e salute.

Si, salute, nel senso più ambio del termine.

 

Giuseppe Bivona

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