Il Mediterraneo e il suo ulivo

<strong>Il Mediterraneo</strong> e il suo ulivo

Didone regina di Cartagine, ormai consapevole del suo destino, addolorata e in preda allo sconforto,quando vide la nave di Enea allontanarsi sempre più nel mare aperto, emise un grido lancinante, implorò gli dei affinché esaudissero la sua maledizione: “Non vi sia più pace tra le opposte sponde di questo mare!”. Poi si butto nell’immenso rogo che aveva fatto accendere sotto il palazzo. Cosi si conclude “La tragedia di Didone” di Cristopher Marlowe.

Il Mediterraneo e il suo ulivo

La storia, ahimé, sembra aver appagato il desiderio della bella e infelice regina di Cartagine, se è vero che dai lidi antistanti, separati da una vasta “pianura liquida” i popoli non hanno mai smesso di aggredirsi attraverso invasioni, conquiste e violenze, spesso inaudite. Le ragioni, o meglio i pretesti non facevano difetto: dalla egemonia politica e/o economica a quelle più frequentemente religiose, fino all’ultima tragica e bizzarra trovata, dei giorni nostri, di “esportare la democrazia”.

Eppure questi popoli da “un culo e una faccia” come li definì il protagonista del film “Mediterraneo” di Salvatores, hanno intessuto stretti e solidi legami commerciali e culturali, hanno scambiato e mescolato il loro DNA attraverso generazioni successive, trainando e modellando nei millenni fino ad una quasi somigliante etnia.

Ma l’onnipresente olivo non ha forse percorso il suo modello co-evolutivo, fluttuando alternativamente la sua memoria storico-molecolare, affidato ai volatili, per le diverse e recondite sponde del bacino?

S’intrecciò cosi tra i popoli del mediterraneo e l’ulivo un saldo vincolo di amore, passione che il mito, la storia, la cultura ne impregna ogni manifestazione, permeandone i tratti più rappresentativi delle vicissitudini umane. Ebbene, una dimostrazione eloquente di questo profondo legame l’abbiamo avuto in questi giorni in occasione del Simposio internazionale sull’olivo. Abbiamo visto sedersi uno accanto all’altro e dibattere nelle diverse sessioni, il palestinese con l’israeliano, il greco con il suo collega turco e con il cipriota, i musulmani con i cristiani, con un contributo di lavori e di ricerca straordinario che, al di là della valenza scientifica, testimoniano l’attenzione e l’interesse davvero fuori dal comune per l’ulivo e il suo derivato olio!

Una presenza, quella dell’ulivo nel mediterraneo, che si perde nella notte dei tempi, un testimone millenario che grazie alla sua “sacralità” ha sempre unito i popoli in nome della pace e della tolleranza, malgrado la stoltezza umana si sforzasse di trovare elementi di distinguo e di divisione. Si, è davvero curioso che la dove era più diffuso e coltivato l’ulivo, quasi nella stessa culla da cui ha origine la pianta, la nostra “civiltà” partorì le sole uniche religioni monoteiste.

Così mentre l’ulivo diviene l’espressione massima della sobrietà della natura, la manifestazione di umiltà, ed esempio di frugalità, intento ad “unire “con la complicità degli intriganti volatili migratori, le rive opposte di questo mare chiuso. Le altre “tre” invece seminano per secoli lutti e violenze, benché all’inizio, fossero state concepite per esaltar il trascendentale rapporto con Dio, finiscono poi con l’arrogarsi la meschina pretesa della superiorità dell’una sull’altra, definendo e oltraggiando gli altri come “infedeli”.

Ma, come se non bastasse, hanno fatto ancora di più: sancirono la pretesa superiorità dell’uomo sulle altre creature. Consacrarono l’uomo, al culmine della presunzione, come dominatore incontrastato della terra, il solo destinatario e beneficiario di tutto il creato.

Ebbene, ad una attenta riflessione, non vi sembra del tutto plausibile supporre che molti dei nostri guai abbiano avuto origine, allorché ponemmo fine alla “venerazione “della natura?

Non iniziammo forse con lo scacciare le divinità dai boschi, dai corsi d’acqua, dalle montagne? Le ninfe dei fiumi e dei laghi non furono ripudiate e derise?.

Col malcelato risultato di aver fatto posto ad un mondo pratico ,concreto, pragmatico, ma ahimé! Privo d’incanto e meraviglia! Spezzammo irrimediabilmente il legame con il resto del vivente, ritenendolo “altro” diverso, privo di “anima”e perciò non meritevole di riguardo. Durante il simposio qualche studioso si chiedeva cosa fare degli alberi vecchi, difficilmente meccanizzabili non in grado di garantire un adeguato reddito, non meritevoli di alcun economico investimento, perciò destinati ad un futuro incerto e grigio.

Ad onor del vero non accade tutti i giorni, di questi tempi, porsi un si fatto quesito, anzi è la testimonianza e la dimostrazione, che ancora un brandello di ossequiosa gratitudine è riserbato al sacro ulivo. Si, perché i nostri vecchi, agli anziani li abbiamo relegati in confortevoli ospizi. Alle poche tribù sopravvissute alla colonizzazione riservammo un destino non meno fortunato, confinandole nelle riserve, lontano dagli occhi indiscreti. Così di seguito, confinammo gli animali selvatici al “sicuro” nei safari. Si dirà che è il risultato finale di un modo ordinato e razionale di procedere, della incalzante necessità dettata dalla globalizzazione del mercato. Quindi non c’è spazio per sentimentalismi o pietismi di sorta. Così ad esempio la ricerca e l’innovazione propongono già modelli olivicolo radicalmente diversi da quelli fino ad ora concepiti, che le forme e i sistemi di conduzione, che ad oggi hanno assicurato la vita secolare dell’ulivo, saranno lontani ricordi.

Abbiamo ereditato dai nostri avi gli ulivi “romani” quelli “saraceni” e poi dei “monaci”, quelli “spagnoli” e noi sapremo lasciare traccia e testimonianza alle future generazioni di questo singolare albero?

Qualche anno fa in occasione della raccolta del germoplasma olivicolo nel territorio delle Madonie, chiedemmo ad una collega della Soat di Collesano di accompagnarci in una azienda per il prelievo delle marze. La cosa curiosa è che la collega nel chiedere l’autorizzazione al vecchio novantenne proprietario ,questi pretese di volerci conoscere e sapere dove avremmo trasferito la progenie dei sui secolari olivi! Pretese che fosse egli stesso a staccare i germogli per consentirne la propagazione. Infine non ci risparmiò tutta una lunga serie di consigli e le tante norme da rispettare nella conduzione,come se ci stesse affidando qualcosa di prezioso a cui era amorevolmente legato, un testimone silenzioso di un lungo tratto della sua faticosa vita !

Noi non conosciamo il carattere o l’indole del vegliardo olivicoltore meno che mai le sue vicissitudini personali. Ma, siamo certi che il suo “legame” con le cose che lo hanno circondato, hanno contribuito a consolidare il suo carattere riempito di “senso “ tutta la sua vita. Oggi invece ci rapportiamo con le “cose” in modo distaccato e indifferente, quasi con frivolezza, mentre i “segni” dei tempi non lasciano preludere niente di buono. Le ragioni sono tante, diverse e complicate a noi, ci sia consentito avanzare qualche timida ipotesi: si comincia con lo spezzare il legame con le “cose” a non averne cura e amore; per passare poi ad avere sempre meno rispetto e considerazione per gli altri per le persone con cui quotidianamente ci confrontiamo e … così alla fine, inevitabilmente, senza neanche accorgercene rischiamo di mancare di riguardo a noi stessi!

 

Giuseppe Bivona

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