“La scuola”: immagine filmografica della realtà dei nostri giorni

<strong>“La scuola”</strong>: immagine filmografica della realtà dei nostri giorni

A cura di Danilo Serra

I film non sono semplicemente film. All’interno di una compatta pellicola cinematografica si nascondono svariati universi virtuali in grado di sommuovere ed elevare attivamente l’Anima umana.

"La scuola”: immagine filmografica della realtà dei nostri giorni  - A cura di Danilo Serra.
“La scuola”: immagine filmografica della realtà dei nostri giorni – A cura di Danilo Serra.

Come può un uomo saggio non esporsi e non ri-flettere alla veduta di un film attuale e tragicamente coinvolgente come “La scuola”?

Come può non rispecchiarsi e non catapultarsi mentalmente in quella realtà abitata e rappresentata ferocemente dallo scintillante attore nostrano Silvio Orlando?

I film non sono semplicemente film poiché contengono e producono “in nuce” uno Spirito, una Storia vivente, un intreccio narrativo destinato a divenire meta-fisico, immortale, non preda della fugacità temporale.
Ciò che all’attento osservatore del film “La scuola” non potrà mai sfuggire di mano sarà l’angosciante presenza di un sistema disfunzionale e catastrofico. Un sistema, quello scolastico, in cui gli attori protagonisti (docenti e alunni) sembrano viaggiare e vagare intimamente sullo stesso binario ideale. Un binario destinato a raggiungere la meta aberrante del non senso.
Così, l’intreccio cinematografico si sviluppa tra professori monchi di una qualsiasi forma di autorità e professori “gentilianamente” abusanti del personale potere istituzionale mossi dall’immobile motto: <<la scuola non è per tutti!>>.

Una scuola, di conseguenza, da un lato dominata dal menefreghismo e dall’assenza di stimoli; dall’altro contrassegnata dalla “matematizzazione” della persona studente divenuta cifraente, numero effimero.
Il film in questione è, e non può essere altrimenti, l’immagine concreta della nostra reale società; uno spaccato tendente ad illuminare un sistema incapace di comprendere il senso puro del proprio essere.

In un contesto assente e non interessato, dove sono immersi sia docenti che alunni, spicca l’atteggiamento eroico del professore di Lettere incarnato dal già menzionato Silvio Orlando, l’unico veramente consapevole degli errori e degli orrori presenti nella <<scuola italiana>>. Egli si pone come la voce silente nel deserto, l’eccezione in un’epoca ostile e barbara. Nonostante il suo atteggiamento “professionale” appaia molle e poco istituzionale (il film è pur sempre ambientato nell’ultimo giorno di scuola), il “professor” Orlando ha il merito di aver compreso l’improduttività e l’inutilità del sistema scolastico in cui si ritrova a cooperare. Tale sistema non poggia sul tempo della pre-occupazione. Non c’è, ovvero, un’attenzione ai bisogni e alle attese degli alunni. L’ascolto, il dibattito, la discussione su tematiche comuni sono tutti elementi sconfinati nello spazio del ‘non potere’, assenti da una dimensione sistemica oramai incapace di innalzare e far crescere l’individuo umano, quest’ultimo risultato e figlio di una scuola alla deriva. Una scuola che il film ha contribuito a rendere immortale nel ri-[cor]do. Una scuola, un sistema, una microsocietà da ri-pensare e ri-modellare, al fine di procreare quella che Morin ha letteralmente definito la “testa ben fatta”, in antitesi e opposizione all’inutile “testa ben piena”.

E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena.>> (Michel de Montaigne)

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