Ovidio. I versi di Ovidio nella Roma di Ottaviano Augusto princeps

<strong>Ovidio</strong>. I versi di Ovidio nella Roma di Ottaviano Augusto princeps

Last updated on Ottobre 9th, 2012 at 10:02 pm

Senato di Roma Ottaviano Augusto princeps

Cultura | Costringersi nell’alveo della prosa, mutilando la vocazione naturale alla poesia, indossando un’innaturale «cintura di castità» emotiva, fu per Ovidio, grande poeta elegiaco d’età augustea, un inutile quanto fallito esercizio sperimentale. La Poesia non si lasciava travestire né camuffare né contrabbandare per prosa, lo sapeva lui «sponte sua carmen numeros veniebat ad aptos et quod temptabam dicere versus erat, naturalmente mi acciuffava il ritmo della poesia e quel che tentavo di scrivere era sempre verso» (Ovidio, Tristia), lo sapeva quel Seneca, poeta e filosofo d’età neroniana, che «nihil aliud quam solutum carmen, null’altro che prosa in poesia» definì i suoi falliti tentativi prosastici.

Ottaviano Augusto princeps, dopo il dissanguamento sociale ed economico prodotto dalle guerre civili, si trovò, come Mario Monti, oggi, a dover fronteggiare l’urgentissimo problema di un risanamento, non solo economico, ma anche morale. L’Urbe deflagrava di disperati, accattoni, reduci di guerra, affamati e mutilati, per cui bisognava immediatamente progettare la riqualificazione della «provincia», il ripopolamento della campagna, il ritorno alla terra, abbandonata e desolata proprio dall’incursione della guerra. Articolatissimo fu il programma di governo del princeps, e se la Pax ne incarnò il più spettacolare obiettivo politico, l’opera di moralizzazione(sanità della famiglia e dei costumi) ne rappresentò la più grande costernazione, privata prima che politica.
Proprio, infatti, nella sua regale famiglia, l’intemperanza sessuale di sua figlia Giulia maggiore, prima, e di sua nipote, Giulia minore, dopo, rischiavano di vanificare l’irrevocabile progetto di bonifica morale di quelle paludi ch’erano ormai grande latifondo d’immoralità nella gens giulio-claudia .
Dopo averle amate moltissimo, dopo averle invano educate alla morigeratezza e alla virtus di quell’ideale di matrona romana, che trovava il suo più nobile archetipo in Cornelia, madre dei Gracchi, le esiliò entrambe, Augusto, per i ripetuti adulteri, le gravidanze illegittime, l’esibizione della scostumatezza. La figlia nell’isola di Pandateria, l’attuale Ventotene, la nipote sull’isola di Tremerus (Le Tremiti); e a entrambe negò la conservazione delle ceneri nel Mausoleo di famiglia, Mausoleo di Augusto. Pur dilaniato tra rancore repulsione e amore per le sue donne, Ottaviano Augusto non rinunciò a usare falce e randello proprio con la sua immorigerata famiglia, nello sradicamento di un’amoralità che non poteva certo suffragare, né come princeps né come uomo.
Era Ovidio poeta alla moda, brillante, cicisbeo, travestito o reale, in quella corte augustea che proteggeva gli artisti solo in quanto messaggeri d’un forte programma nazional-politico, prima che poetico. Adorato da quell’alta società che dilapidava il tempo tra ozi piaceri spettacoli noia e libidine.

L’anno 8 d.C un bando personale di Augusto lo relegava a Tomi sul Mar Nero,un villaggio barbaro da cui non sarebbe mai più tornato a Roma, nonostante suppliche preci e implorazioni. Concausa dell’irrevocabile espulsione un carmen, l’Ars Amatoria, un centone di «loci erotici» scritto per la Roma delle feste, del passeggio nel Foro, dell’amore inteso come gioco di società, ludus per ricchi annoiati patrizi in cerca di attizzatoi sessuali, oltre ogni pudore, oltre ogni limite imposto dalla restaurazione morale in atto. Letto oggi, «L’arte d’amare» di Ovidio scandalizza per l’ingenuità dell’eros, sconcerta per l’integralismo morale di cui fu vittima il poeta. Oggi, la «mappa» dei luoghi per la «caccia alle femmine» (teatri corse dei cavalli Circo Massimo) e le modalità d’approccio «a teatro siete costretti l’uno accanto all’altro… è il luogo in sé che fa che tu la tocchi… se la sua veste striscia troppo in terra, chinati a sollevarla… potrai dare un’occhiata alle sue gambe senza che ella protesti» destano un sorriso di compatimento più che un turbamento. Oggi la webcam spoglia la donna di pudore e dignità, prima che spogliarne il corpo.
Tutte le donne ci stanno, sostiene il Poeta «una potrai trovarne, a mala pena, che si neghi… amano sempre esser pregate… ciò che appartiene a un altro prende i sensi assai più di quel che è proprio, nel campo altrui la messe è assai più bella». Comprendiamo che quest’inno alla predazione della femmina altrui fosse un reato gravissimo per la monogamia sessuale promossa e imposta dal princeps, ma comprendiamo, anche, e senza ipocrisie, che il concetto del «tedio» monogamico, la cupiditas novi, cioè lo sbirciare nei talami altrui, hanno e hanno avuto sempre un proselitismo enorme, pur se camuffato dai luoghi comuni del bacchettonismo, del perbenismo.
E’ gran conoscitore Ovidio di certa tipologia femminile, che non rinuncia al regalino in una sorta di «contrattazione» sessuale, affidata però esclusivamente all’intuizione «questa è l’impresa… averla senza alcun dono. Quando avrà dato senza chieder nulla, stai pur certo che sempre sarà lei a dare ancora». Regalino veniale, ai tempi d’Augusto,un paio d’orecchini, un indumento, un gioiellino di modesto conto, mentre historia docet che il controvalore dei nostri tempi, oggetto di inconfutabili contrattazioni e obbligazioni, documentate ampiamente da intercettazioni ambientali e telefoniche, è uno scranno alla Regione, al Parlamento, un ottimo posto di sottogoverno e tant’altro, sottratto a quelle donne che hanno, invece, merito e pudore!
Nell’Arte d’amare non va trascurata l’ Arte del simulare, la menzogna sta all’Amore come il disegno alla Pittura «se tu vuoi che a lungo ella sia tua, fa’ che ti creda estasiato dinanzi alla sua bellezza… se ella indossa porpora loda la sua porpora, se indossa la pelliccia, dille che nulla le dona di più.. se porta la riga tra i capelli, loda la riga, se col ferro caldo se li sarà ondulati, tu grida oh quest’onda, che bella….loda infine ogni suo abbraccio e tutto ciò che ti offre nella notte, foss’anche più violenta di Medusa…. Guardati solo che non appaia dalle tue parole simulazione alcuna e che il tuo volto non le tradisca. Giova l’arte, è vero, ma solo se nascosta..».

Ci piace Ovidio che alla sua divina leggerezza pagò il prezzo altissimo della solitudine, dell’emarginazione, dell’esilio in una barbara landa frequentata solo da capri selvatici, vittima del suo tempo, mentre siamo convinti che non basterebbero isole isolette arcipelaghi del Mar Mediterraneo, dell’Oceano Atlantico, Pacifico e Indiano ad alloggiarvi i farabutti ladroni, in giacca e cravatta, dei nostri tempi. O tempora, o mores!!

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