Pasta che passione. Gli arabi e la Sicilia determinanti nella storia della “pasta di Tria”

<strong>Pasta che passione</strong>. Gli arabi e la Sicilia determinanti nella storia della “pasta di Tria”

La leggenda dice che l’abbiano inventata i cinesi, e che sia giunta in Italia grazie a Marco Polo, che laggiù gustò per la prima volta dei fili di pasta di grano lunghi e cotti. Ma è, appunto, una leggenda: la pasta è italiana. Anche se, a riguardo, qualche distinzione va fatta.

Pasta che passione…

Anzitutto, c’è da dire che già i romani mangiavano qualcosa di simile alla pasta: gnocchi (globuli) e lasagne. La lagana, infatti, era una larga sfoglia condita in vario modo e cotta al forno. La pasta come la intendiamo noi, cioè cotta in acqua bollente, è però un’invenzione medievale che valorizza il tipo cosiddetto “secca”: una volta impastate, le varie forme erano messe a essiccare per farne un prodotto di lunga conservazione. Questa sua resistenza è decisiva nel farne un prodotto di largo consumo, e il merito è degli arabi che, secondo la tradizione, ne inventano la commercializzazione.

La cultura araba è determinante nella storia della pasta. Da un lato, c’è il couscous, una pasta di semola trattata in modo grossolano e condita con verdure e carne di montone. La sua diffusione  avviene soprattutto grazie ai pescatori di corallo dell’isola di Tabarca, davanti a Tunisi. Pescatori che, in gran parte, sono però genovesi.  Da un altro lato, è nella Sicilia occidentale dominata dagli arabi che nel XII secolo si ha notizia del funzionamento di un pastificio organizzato, per i tempi, su scala industriale. Si trova a Trabia, a circa 30 chilometri da Palermo.

Poiché il nome arabo della pasta secca è itrija, il nome con la quale viene diffuso è “pasta di Tria”. A dare un contributo importante alla sua diffusione sono i mercanti genovesi, che sempre nel secolo XII sono il tramite principale per portare il prodotto siciliano sui mercati del Nord. Poi, com’è consuetudine nella storia della creatività, i genovesi “rubano” il mestiere agli arabi, e nel breve volgere di pochi anni la Liguria diventa la prima regione di smercio e produzione di “vermicelli” e altri tipi di pasta. Che non a caso, nei ricettari del tempo sono indicati come “paste di Genova”.

La Liguria non riesce tuttavia a imporre un monopolio; anche in altre regioni, dunque, nascono tipologie di maccaroni: in Puglia, a Roma, a Napoli. Proprio qui avviene il passaggio decisivo che porterà la pasta ad essere la regina della cucina italiana. Capita nel Seicento, quando in città si incrociano un sovraffollamento di residenti e una crisi economica. Ciò fa crollare i consumi di carne, allora cibo popolare più della pasta, che era invece considerata una golosità dal consumo non certamente quotidiano. Anche perché non costava poco.

Ma l’introduzione del torchio meccanico nei pastifici abbatte i costi di produzione: i napoletani cominciano così a mangiare pasta in quantità. E, dopo di loro, tutti gli italiani. “Gli italiani non mangiano che maccheroni, maccheroni, maccheroni”, per chiudere, è ciò che Carlo Goldoni sente dire a Parigi, sul finire del settecento, a un uomo che rimprovera una signora per aver offerto a cena al commediografo veneziano una zuppa alla francese.

 

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