Turismo, il piano del ministro Gnudi ignora la Sicilia

<strong>Turismo</strong>, il piano del ministro Gnudi ignora la Sicilia

La Sicilia non sembra considerata una priorità in «Turismo Italia 2020», il Piano nazionale strategico per lo sviluppo del turismo elaborato dal ministero per gli Affari regionali e il Turismo retto da Piero Gnudi.

Valle dei Templi di Agrigento
Valle dei Templi di Agrigento

L’unica azione concreta citata nel piano, da realizzare entro il 2015 e sotto la competenza del ministero dello Sviluppo economico, è «aprire l’aeroporto di Comiso», indicato fra le «strutture a forte potenziale turistico», per «offrire una base ai voli low cost e favorire un progetto più complessivo di sviluppo turistico dell’area che favorisca in generale il territorio e, dunque, anche l’intero sistema aeroportuale siciliano».

Ben poca cosa, per un piano che punta su sette priorità e sessanta azioni strategiche per raggiungere l’ambizioso obiettivo di aumentare, entro il 2020, di 30 miliardi di euro l’impatto del turismo sul Pil nazionale (da 134 a 164 miliardi) e l’occupazione nel settore di 500 mila addetti (da 2,2 a 2,7 milioni), così suddivisi: le città «top» (Milano, Bologna, Firenze, Venezia e Roma) più Alto Adige e Garda, la Riviera romagnola e il Nord-est con più 15 miliardi di Pil e più 250 mila occupati; 30-40 poli ad alto potenziale di sviluppo sul turismo internazionale, 12 miliardi e 200 mila assunti; due nuovi grandi poli turistici nel Mezzogiorno, 2-3 miliardi e più 40 mila addetti; infine, poli con potenziale medio-basso, 1 miliardo e 10 mila nuovi assunti.

Le uniche cose indicate con certezza nel piano strategico sono l’attribuzione di un portafoglio al ministero, il rilancio dell’Agenzia nazionale del turismo al cui finanziamento contribuiranno le Regioni, la modifica del Titolo V della Costituzione per accentrare sullo Stato il compito di promuovere il settore, la creazione di una banca dati unificata.
Poi si elenca una serie di tappe, che passano dall’Expo 2015, dalla valorizzazione dei siti culturali, dal rafforzamento degli itinerari dello shopping, dallo sviluppo del turismo congressuale e da un «tavolo di lavoro» sul «prodotto mare».

La Sicilia con la sua tradizionale offerta sembra tagliata fuori dalle azioni di sviluppo, che puntano invece su «poli prioritari» (non indicati) sui quali fare convergere agevolazioni normative, offerta turistica internazionale e flussi in collegamento con le «città top», perno su cui si basa il massimo sforzo programmato dal ministero.

Eppure nella premessa al piano strategico proprio il sistema turistico siciliano viene preso a elemento di confronto per comprendere il divario con gli altri sistemi esteri concorrenti rispetto alle presenze di turisti internazionali. Il ministero, così, «scopre» che la Sicilia ha lo stesso numero di chilometri di coste delle isole Baleari, 1.500 (loro, esattamente, ne hanno 1.430). Ma se la Trinacria nel 2010 ha registrato appena 3,7 milioni di notti, il rinomato arcipelago spagnolo ne ha contate ben 41,2 milioni, pari a undici volte di più. Si stupisce, il ministero, «se si considera il patrimonio artistico, culturale e gastronomico della Sicilia».

Ci si aspetterebbe, dunque, che lo Stato punti proprio su questa terra per colmare il divario. Soprattutto se subito dopo aggiunge che lo scorso anno dalla Germania sono arrivati in una settimana di alta stagione (16-22 luglio) solo 17 voli low cost in Sicilia e 223 nelle Baleari, un numero 13 volte superiore.

Invece, come detto, il piano cita la nostra realtà «solo a titolo esemplificativo per valutare i fattori di debolezza e per sottolineare la necessità di recuperare competitività». Appunto. Ma dove? La risposta arriva poco dopo: dal 2000 al 2010 le «cinque Regioni top (Veneto, Trentino Alto Adige, Toscana, Lazio e Lombardia) hanno generato il 91% della crescita», mentre «le cinque grandi Regioni del Sud (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) pur possedendo asset inestimabili di tipo storico-culturale-paesaggistico, pesano solamente per il 12% del totale e hanno catturato nel decennio solo il 5% della crescita totale italiana».

Come dire: seguendo logiche di mercato, in periodo di crisi e di spendig review si preferisce puntare su zone che richiedono minori investimenti e offrono maggiori risultati immediati.

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3 Risposte per Turismo, il piano del ministro Gnudi ignora la Sicilia

  1. È come la legge elettorale non c’è niente di giusto, meno male che stiamo sprofondando in fretta così questi investimenti verranno tolti anzi tempo x chissà quali altre emergenze

  2. Ci troviamo a ri-votare con una legge ‘porcata’.

    Investire nel sud significa dare crescita-fiducia e speranze in un posto dimenticata anche dai suoi piu’ illustri politici rappresentanti (?) …

    La domanda e’: chi votare? Esiste qualcuno in grado di livellare l Italia?

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