Crocetta: “Il Pd? Se non si apre diventerà un partito di reduci”

<strong>Crocetta</strong>: “Il Pd? Se non si apre diventerà un partito di reduci”

L’intervista. «Ricordo che i dem non hanno vinto da soli le Regionali». Sui precari: «Barbara l’idea di garantirsi con le molotov».
«Condivido la scelta di Trigilia di riproporre la questione meridionale in modo moderno»

Crocetta PdLo scontro che si consuma all’interno del Pd siciliano in questi giorni, coinvolge doppiamente Rosario Crocetta: nella qualità di presidente della Regione e nel ruolo di leader del Megafono. Come governatore, secondo Cracolici, darebbe poco spazio all’iniziativa del Pd; come ispiratore del Megafono gli farebbe concorrenza, addirittura, ne minerebbe il consenso.

Presidente, come risponde a queste accuse?
«E’ un dibattito che certamente mi coinvolge. Sono molto interessato a ciò che accade nel Pd, il partito più importante d’Italia. Credo, perciò, che il problema che si debba porre il Pd è cosa fare per diventare un grande partito: a quali aree della società si rivolge, anche in Sicilia. A me interesse una forza politica che non si racchiuda in se stessa, ma che faccia veramente il “partito democratico”. C’è una parte della società, particolarmente in Sicilia, che è stanca dei privilegi e del malaffare che ha bloccato lo sviluppo della Regione».

Il Pd è nato con una forte connotazione democratica e riformista.
«Ma chi sono questi democratici e riformisti’? Non si può dire che i democrat avevano più spazio quando c’era il governo Lombardo. Non mi sembra questa una visione gramsciana del riformismo».

Nel Pd, come sa bene, sono in parecchi a non vedere di buon occhio la sua apertura di dialogo anche con il fronte dell’opposizione.
«Il Pd, forse qualcuno lo dimentica, non è maggioritario in Sicilia. Per fare le riforme bisogna ragionare attorno alle alleanza utili e necessarie. Se le alleanze condividono processi riformisti, non sono un problema. E l’abolizione delle Province, la riforma degli Ato rifiuti e di quelli idrici, per esempio, già segnano un cambiamento. Per anni, il governo della Regione è stato sinonimo di spartizioni e d’interessi».

Pensa che sia facile sconfiggere una mentalità che ha imperato fino a pochi mesi fa?
«Deve essere chiaro: si è riformisti non se si partecipa per accaparrarsi una fetta della torta; si è riformisti se si agisce per il bene dei cittadini. In questa direzione vanno la riforma delle società partecipate, quella che riconosce il merito e premia i capaci, il piano straordinario per il lavoro».

Il ministro della Coesione territoriale, Carlo Trigilia, ha detto che negli ultimi tempi è aumentata la spesa dei fondi europei, ma che occorre uno sforzo supplementare.
«Grazie al nuovo prestigio acquisito a livello nazionale, abbiamo trovato molta disponibilità al dialogo nei ministeri chiave, come l’Economia, lo Sviluppo economico e la Coesione territoriale. Con il ministro Trigilia, peraltro siciliano, cercheremo di continuare e migliorare il lavoro avviato con Barca. Condivido anche l’esigenza di riproporre sul tavolo nazionale la “questione meridionale”, ma in modo moderno ed efficace».

Il lavoro rimane la più drammatica delle emergenze siciliane. Le sacche di precariato sono enormi e parecchie le famiglie senza reddito.
«Il governo ha evitato la macelleria sociale che la carenza di risorse economiche avrebbe potuto provocare. Per esempio, gli ex Pip del Comune di Palermo non si può dire che siano dei poveri diavoli, avendo avuto garantiti 830 euro al mese. Quando, però, alcuni magari manipolati da sistema di potere e mafioso, chiedono di essere assunti, allora quella è la voce dei prepotenti. Bisogna avere il coraggio di dirlo con forza. L’idea che se si va davanti a palazzo d’Orléans con le molotov, il problema può essere superato, è una barbarie. Non può continuare ciò che è accaduto nella notte dell’approvazione della finanziaria. Anche sulla “tabella H” non sono stato creduto. Mi dispiace che l’impugnativa crei più problemi nel Pd che nel centrodestra».

Il segretario del Pd, Lupo, ha definito un errore avviare la campagna pre-congressuale durante la campagna elettorale, ma ha anche stigmatizzato l’antagonismo del Megafono in alcuni grossi centri in cui si vota, tranne Catania, Messina, Ragusa e Siracusa.
«Mi sembra che questo sia l’abc della politica. Non si apre un dibattito congressuale mentre c’è in corso una campagna elettorale. Ognuno si assume le proprie responsabilità. Credo che il partito debba essere unito nelle grandi città. Pensare, però, che il Pd possa essere la ripetizione del passato, è un errore. Mi meraviglia che ci sia chi dica “Megafono sì, Megafono no”. Invece, i movimenti devono essere una ricchezza per il Pd. Bisogna prendere atto che la sinistra in Sicilia è sempre stata minoritaria. Il Pd non ha vinto le elezioni regionali da solo, ma in coalizione con Udc e Megafono».

Lei, presidente, ha vinto le elezioni. La sua coalizione non è stata in grado di darle una maggioranza all’Ars.
«E’ andata così. Proprio per questo motivo, il Pd se vuole vincere si deve aprire ai movimenti. Altrimenti sarebbe la fine di un partito che parla un linguaggio ottocentesco. Si possono vincere le battaglie congressuali, ma non quelle politiche. O viceversa. La gente è stanca di una certa politica, altrimenti non ci sarebbe il fenomeno Grillo. E’ un errore chiudersi in se stessi. Si rischia di fare un partito di reduci e combattenti. Il mondo è pieno di giovani e donne che non si riconoscono più in nulla, per questo è nato il Megafono».

Che viene considerato antagonista del Pd in alcune realtà in cui si vota.
«Il megafono è una parte del Pd. Vi sono città e paesi in cui i dirigenti sono divisi da tempo. Voglio ricordare che quando a Gela abbiamo fatto le primarie vinte dall’attuale sindaco, il segretario provinciale del Pd (Lillo Speziale, ndr) si candidò con una propria lista. E non era il Megafono. Anche prima c’erano due liste del Pd in alcune realtà. Il Megafono serve per fare crescere il Pd e il centrosinistra. non ho mai detto che voglio sfasciare il Pd».

Si dice che lei sia un uomo solo al comando e che occorre dare una caratura politica al suo governo.
«Mi dispiace che si metta in discussione il ruolo del presidente della Regione, neanche nella Russia più bolscevica si arrivava a tanto. Il programma lo abbiamo concordato con i partiti, se qualcuno pensa che non lo rispetto, me lo dica. La verità è che quando si fanno i governi c’è sempre qualcuno che rimane scontento. Il problema è se la politica crea consenso o dissenso. Ci sono assessori tecnici di area, non caduti dal cielo. Rimpasto? Questa richiesta la sconosco». Lillo Miceli LaSicilia

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