Letta si dà un’agenda: Via tasse sul lavoro e riforme in 18 mesi

<strong>Letta si dà un’agenda</strong>: Via tasse sul lavoro e riforme in 18 mesi

Il Premier. «Ho fatto i compiti, ora spetta alla maggioranza lavorare in Parlamento».
Le riforme. «Questo governo è una eccezione che non si ripeterà, è l’occasione per dare al Paese un aspetto più funzionale».
«Andremo a Bruxelles con un piano d’interventi per poter ridurre la disoccupazione giovanile sotto la soglia del 30%».

Enrico Letta risponde all’appello del Festival dell’economia di Trento e si presenta con i compiti fatti: la sua agenda è precisa e fitta. Ora tocca alla maggioranza in Parlamento realizzarla. Italia e Europa hanno bisogno di riforme, la prima fiscali e costituzionali, la seconda istituzionali. Tradotto: far diminuire la disoccupazione e creare l’Europa politica che manca.

Enrico Letta Pd Presidente del ConsiglioIl premier promette così un piano d’interventi da presentare al vertice europeo del 27-28 giugno a Bruxelles e il completamento delle riforme entro la tabella di marcia imposta alla grande coalizione: ovvero, diciotto mesi. Priorità: il taglio delle tasse sul lavoro, la riforma delle Camere e la legge per l’elezione del capo dello Stato. Da rivedere anche la riforma del Titolo V della Costituzione e da affrontare la questione del finanziamento pubblico ai partiti.

Quanto all’Europa, Letta ha sottolineato che servono un ministro dell’economia in grado di proporre e attuare riforme condivise e un vero e proprio ministro degli esteri. C’è bisogno di «meno paradisi fiscali» e di istituzioni «più forti» sulla scorta di quanto dimostrato dalla Bce. «Non si può continuare a fare ventotto vertici e ventotto preparazioni senza arrivare a una decisione». È quindi proprio l’architettura dell’Ue a dover essere rivista, anche perché «le elezioni europee dell’anno prossimo saranno le più importanti della storia. Se non facciamo la svolta, avremo il Parlamento europeo più anti-europeo della storia» perché la gente non si riconosce in chi viene eletto.

Guardando dentro ai confini italiani, il primo ministro si è dato due scadenze: quella del 28 giugno e quella dei diciotto mesi di mandato. La prima è la data entro cui il governo – che oggi definisce come «una start-up sballottata, ma determinata» – si presenterà con «un piano d’interventi» e l’obiettivo sarà «la riduzione della disoccupazione giovanile sotto la soglia del 30%». Anche perché, tra le priorità, c’è la «riduzione delle tasse sul lavoro per creare» nuovi posti. La seconda è la dead-line per chiudere «l’iter delle riforme» prefissato all’insediamento del governo. Senza scordare poi l’impegno «preso da tutti i partiti» della maggioranza di sciogliere il nodo-Imu entro il 31 agosto. Avanti intanto anche sulla spending review, con cabina di regia a palazzo Chigi, e agenda digitale, con lancio nei prossimi giorni.

Sullo sfondo resta l’elenco di riforme da realizzare. Questo «governo è eccezionale e non si ripeterà», ha sottolineato ricordando che non si può perdere questa occasione per dare al Paese un’architettura istituzionale più funzionale. Due Camere diverse («una per la fiducia; l’altra per la rappresentanza di enti, Comuni e Regioni»); quindi, una procedura per l’elezione del capo dello Stato «mai più con le vecchie regole, anche se non credo – ha aggiunto – spetti a me dire quale dovrà essere un modello».

Letta, in vista poi del prossimo semestre italiano alla guida della Commissione, ha posto come obiettivo principale quello di non far uscire dall’Ue la Gran Bretagna, ma anche l’avere uno sguardo attento alle emergenze umanitarie, come in Siria ora e in passato in Bosnia-Erzegovina. «L’Europa è morta a Sarajevo, è morta a Srebrenica», ha detto il premier, ricordando come l’Unione in quegli anni «non sia riuscita ad affrontare certe situazioni e certi temi».

Infine, Letta, che nella sua giornata a Trento ha parlato anche del suo Pd e di Renzi. «Sono il suo primo tifoso; ha solo il difetto di essere di Firenze mentre io sono di Pisa», ha ironizzato, senza replicare alle provocazioni del sindaco di Firenze sul suo essere «democristiano». E Grillo? «L’hanno capito anche in Europa: il problema non è lui. È un Paese in cui un partito che si presenta per la prima volta a elezioni arriva al 25%».
nicola capodanno

Scrivi un commento da Facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *