I ministri degli oracoli e la credulità dell’Italia

I <strong>ministri degli oracoli</strong> e la credulità dell’Italia

Ricette dal tempio di Bankitalia e dal dicastero dell’Economia.

Non bastavano le ingegnose invenzioni di Napolitano, da Monti “salva Italia” alle larghe intese di Letta: ora, saggiate le previste schermaglie, è il tempo degli oracoli: dal tempio della Banca d’Italia parlano il governatore Visco e, a supplire, la residua sapienza del ministro dell’Economia.

Il primo, nuovo Epimenide, scopre che l’Italia Paese è “in ritardo” di 15 anni; il secondo confida, privata vendetta, nel Nobel dell’economia suggerendo – nuovo Keynes – di spendere oggi quel che dovremmo risparmiare nei prossimi 10 anni attraverso le riforme annunciate e la riduzione della spesa.

precarietà politica copiaIl primo chiede alle sue banche di crescere dalla speculazione all’investimento, e al patriottismo degli imprenditori chiede di rinunciare agli utili di impresa per aiutare “lo Stato” in bolletta; l’altro dà per certo il gratta e vinci di un Parlamento a caccia di ricevute da ristoranti e cantautori.

Ai rumori di fondo, che qualcuno chiama ancora basso continuo, provvede il solito Napolitano, che promuove a festa ogni liturgia repubblicana e chiede con paterna sollecitudine, ed in nome della Costituzione, lavoro per i giovani e si spinge per l’ennesima parata a suonar l’allarme per la tenuta sociale del Nord e del Sud!

E le Camere? La Boldrini ha ottenuto per dichiarazionei di intenti pene più severe per quanti praticano o minacciano violenze sulle donne, in parallelo (osservano i comici), con gli assaggiatori ed i fornitori delle pietanze di Arcore; mentre Grasso, seconda carica dello Stato, prova a spiegare ai giovani che la Politica non gode di decente rispettabilità, ma come farne senza?

Gli statistici, le agenzie di rating si esercitano – in una con i sindacati – a misurare i decenni che mancano all’Italia per la ripresa, ed i secoli prevedibili del ritorno all’Italia felix della Prima repubblica.

Singolari paradossi che dovrebbero aiutare Napolitano a “vigilare” sulle inconcludenze della Politica che non conclude: avremo per solenne annuncio (un oracolo ancor esso?) una verifica il 2 giugno 2014, e stavolta niente parate, e il finale bilancio per il Natale del prossimo anno dopo i magici 18 mesi che chiuderanno – stavolta con festa solenne, a metà tra S. Pietro ed i Fori imperiali – le intese ormai più larghe delle “brache di San Griffone”.

Abbiamo salvato l’Europa di Barroso & Co, ma il nostro “mal d’Europa” comprende – per la minestra maritata con i friarelli di Draghi – anche l’euro, e come per il passato nessuno vuol dire al Paese quanto ci costerà questo nuovo minor male. L’unica speranza per l’Italia e per l’Europa non sta nelle elezioni tedesche dell’autunno, ma nelle elezioni europee della primavera 2014.

Una tenuta dello squallido quadro attuale, una mostra di foto con Obama che non ha deciso se l’Europa è una zavorra o una dote, chiuderebbe la partita nel caos istituzionale e finanziario: ove il tennis ed il calcio resterebbero gli unici assets del liberal-liberismo alla Monti (e alla Napolitano).

E’ sotto i nostri occhi il travaglio drammatico delle “primavere arabe”, e l’impotenza basculante di una politica estera dell’Europa affidata “per risparmio” alla Nato coglie le contraddizioni della politica post-imperiale del nostro Continente che non sa che farne dell’Africa e del Medio Oriente, si tiene al conteggio delle diaspore e insiste su sbarramenti ai confini in un’età “globale” in cui – ignorando le lingue – vantiamo lo stile missionario delle prediche e della gestualità.

Di fronte a siffatti scenari mondiali e dell’Europa, il teatrino italiano resta animato dalle marionette (sempre nani e ballerine) della politica attratta solo da quelle “riforme” che con la propria sopravvivenza assicurino la governabilità: la magica parola cui s’affida il nostro presente-futuro. Ci terremo perciò il Porcellum, ci terremo il bicameralismo perfetto, ci terremo le province ed i 300 enti inutili: e in attesa del… nulla, avremo l’aggiornamento del Nostradamus con i calcoli profetici dei tempi del “ricorso”, e le preghiere del nuovo rosario. Mentre dilaga l’infezione della corruzione e della “furbizia”.

Da sempre ho giudicato il regionalismo la piaga istituzionale maggiore in un Paese che ne ignorava l’ufficio dopo la cura da cavallo della unificazione. Con il complice parassitismo della provincia, la Regione a statuto variabile ha deformato e in molte parti distrutto l’istituto antico-moderno del Comune, il solo attraverso il quale è dato assicurare partecipazione democratica e trasparenza: ed ora parliamo di neo-presidenzialismo, alla francese o all’americana, senza dire alcunchè del ruolo e incidenza del potere locale.

Lasciato in questi anni a far da esattoria del potere regionale e nazionale, per servizi che la lotta politica dell’ultimo secolo aveva trasformato in diritti: la scuola, la salute, la giustizia, il buon governo.

Apprendiamo per contro che i partiti sono imprese, con patrimoni e dipendenti, che se rinunciano (si fa per dire) al privilegio dei “rimborsi” e contributi debbono poter collocare dipendenti e portaborse nel limbo della Cig. E frattanto, in nome della “pacificazione” e delle “larghe intese” continuiamo a pagare. E i ministri degli oracoli possono confidare speranzosi nella interessata credulità dei fedeli.

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