La crisi italiana, il caso tedesco e la moralità

<strong>La crisi italiana</strong>, il caso tedesco e la moralità

L’analisi. Tradito lo spirito iniziale del progetto europeo. Il fallimento può essere evitato solo con una confederazione, con alcune limitazioni, tra gli stati del Vecchio Continente.

Libero per collocamento a riposo da impegni accademici, e di governo accademico, potei negli anni dal 1998 al 2003 accoglier gli inviti ad insegnare fuori d’Italia, in Europa e negli Stati Uniti: mi consentiva, mentre portavo a termine progetti di ricerca a lungo coltivati, di seguir da presso il processo di cambiamento in atto nella politica e nella scuola, soprattutto in conseguenza della rivoluzione generazionale (l’avanzata dell’età media) e di genere (la questione femminile). Debbo a molte delle opportunità di quegli anni i materiali di confronto e di studio della crisi tragica dell’Italia di oggi: di ciò ho provato a dar conto nel settimanale foglio di diario che continuo a scrivere, con disperante speranza e rabbia non sempre contenuta.

PoliticaUrgeva una miglior politica ed una scuola migliore. Trascorsi tre di quegli anni a Heidelberg, professore in visita di storia moderna: agevole e positivo il dialogo coi colleghi e con i loro centri di ricerca, paradossale il giudizio sugli allievi – che trovai non solo meno agili, ma di formazione per lo più inferiore a quelli che per decenni ero stato chiamato a “trattare” in Italia, e particolarmente in Sicilia.

Non era un caso che il “caso tedesco” mi attraesse più del francese: ma perché, mi chiedevo, la riunificazione della Germania dopo la caduta del Muro di Berlino non poteva far da prototipo all’eterna e infelice “questione meridionale” in un’Italia più europea di tanti Stati nazionali del Continente? La risposta sta nelle cose: l’ultimo ventennio ci ha dato la peggior classe politica della nostra storia unitaria, e la squallida operazione Profumo-Gelmini ha distrutto in Italia scuola e ricerca. La recente svolta politica ha tuttavia creato più speranza che fiducia, e sulla rabbia è tornato ormai l’impiastro della caritas.

Direi che son troppe le ciliegine, mancano ahimè le buone torte. Persino i più labili dei giornalisti, i cronisti sportivi, han provato a opporre la vittoria tedesca nei Mondiali brasiliani alla dismissione italiana. Una qualche lezione se ne può trarre tuttavia, ma sol che si definisca una truffa la preparazione e partecipazione italiana: lo stato fisico e morale dei giocatori e della squadra, il cinismo dei dirigenti avvolto – alla maniera di Napolitano – nella bandiera del patriottismo, la turpe retorica sull’Italia migliore quando sta peggio, hanno alimentato e trovato alimento nell’immagine da tempo consolidata (grazie Berlusconi!) di un paese di parassiti e di furbi governato da un circo di “nani e ballerine”. Perciò lo stile ultimo della nostra politica è segnato dalle “intese”, e le riforme necessarie si affidano in questi giorni al ricatto, e non certo a quella superiore moralità che da qualche settimana persino dal Colle par scendere a fiumi nella terra riarsa della nostra pessima politica.

La conclusione di questo sommario confronto appare obbligata: tra noi ed i tedeschi il distacco colmabile in termini di “storia” e di potenziali capacità e risorse si è fatto sempre più distante in materia di moralità pubblica e privata. Apprendo con sottile disperazione della scomparsa di Roberto Vivarelli, uno storico di robusto vigore e di salda dottrina, eminente altresì sul terreno della moralità anche quando la pubblica confessione di peccati privati stupì gli astanti, e che pur ebbi il privilegio di promuovere a “barone” per cooptazione. Scriverò di lui come custode di memoria, ma sento il dovere di ricordarne competenza e dirittura – di fronte alla presente vergogna, alle truffe dell’Anvur (pagherà mai qualcuno?), e agli esiti incoerenti e fazionari della cosiddetta “Abilitazione Scientifica”. Eppure un vecchio non può limitarsi a richiamare gli inetti figlioli di una università distrutta, senza chiedersi se ha fatto come avrebbe dovuto il proprio dovere di padre: e se basti, per salvar l’anima (come chiedevano casisti e confessori di area paleo-cattolica), aiutare i nipoti al tempo stesso vittime e demotivati.

Per l’Italia delle “intese”, come per l’Europa di Barroso l’ideale è stato e resta il principio neo-liberista della “libera” competizione: e gli uomini delle banche han portato da noi, ed in Europa col rigore la disfatta sociale. Il caso dell’Alitalia resta peraltro indicativo di un modo di procedere già sperimentato, l’emergenza agghindata da progetto: non è un buon precedente. La via della moralità pubblica è più difficile e meno ambigua: eppure la Germania cattolica è riuscita a praticarla, in perenne sfida con l’anima protestante. È aperta anche a noi, pur se stretta. La “ripresa” sarà poca cosa se non porterà con sé un recupero di pubblica moralità. Giuseppe Giarrizzo la sicilia

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