Lampedusa non dimentica quel tragico 3 ottobre di un anno fa

<strong>Lampedusa non dimentica</strong> quel tragico 3 ottobre di un anno fa

Rappresentanti delle istituzioni e dell’Ue domani nell’isola. Molte iniziative in programma: incontri, fiaccolate e una lapide in mare.

È trascorso un anno e sembra solo ieri. Con l’immagine negli occhi delle centinaia di bare allineate nell’hangar dell’aeroporto: 368 bare, comprese quelle, bianche, dei bambini in prima fila, con i peluche poggiati sopra i coperchi con il crocefisso da una mano pietosa. Senza un nome. Numerate da 1 a 368.

Uomini, donne e bambini eritrei per la maggior parte, morti annegati a poche centinaia di metri dalla salvezza e dalla libertà. Recuperati dai sommozzatori dei Vigili del Fuoco e della Guardia di Finanza uno ad uno dallo scafo del barcone affondato a 47 metri di profondità. Trecentosessantotto persone in attesa di essere riconosciute. Con i loro nomi e le loro storie. Sepolti in loculi anonimi in diversi cimiteri dell’Agrigentino.

Lampedusa non dimentica.

E torna ad accogliere 43 dei 155 superstiti della tragedia del 3 ottobre 2013 che arrivano dalla Svezia, dalla Norvegia, dalla Germania e dalla Svizzera. Grazie ai fondi raccolti dal “Comitato 3 ottobre”. Questa volta con le carte in regola, da rifugiati politici, senza più paura delle frontiere e dei gendarmi.

lampedusa_naufragio_bare_immigrazioneSaranno loro i protagonisti di Sabir, il Festival diffuso delle culture mediterranee promosso dall’Arci, dal “Comitato 3 ottobre” e dal Comune di Lampedusa. Cinque giorni di incontri e di eventi. Da giovedì a domenica prossima. Con il clou delle manifestazioni il giorno dell’anniversario. Con il lancio in mare, sul luogo della tragedia, tra l’ingresso del porto e l’Isola dei Conigli, di una corona di fiori. Ci saranno le motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza e anche le barche dei pescatori lampedusani e delle persone – le prime ad intervenire con grande abnegazione, mentre si trovavano a bordo di uno yacht – che hanno soccorso i naufraghi. Sul fondo del mare, accanto al relitto, sarà deposta una lapide con le impronte delle mani dei superstiti e dei soccorritori.

Per i superstiti non saranno ore facili. Da un lato il ricordo della tragedia, dall’altra la paura degli 007 inviati dal governo eritreo per identificarli e attraverso loro colpire i familiari rimasti in patria. A lanciare l’allarme è il “Comitato 3 ottobre”. «Che non si ripeta – si legge in una nota – quello che è accaduto lo scorso anno, subito dopo il naufragio, quando le autorità del regime eritreo dalla quale fuggivano le vittime e i superstiti del naufragio, sono state invitate ad assistere alla cerimonia funebre». Per questo va protetta l’identità dei superstiti. «Abbiamo il dovere – prosegue la nota – di proteggere le persone che tornano in Italia per celebrare la tragedia del 3 ottobre, ma anche per cercare di capire dove piangere i loro cari e i loro compagni di viaggio, morti nel naufragio».

Un anno è trascorso. Ed è pure tempo di bilanci. Con l’operazione “Mare nostrum” della Marina militare italiana che ha permesso di salvare 130 mila migranti. Ai quali vanno conteggiati anche coloro che non ce l’hanno fatta – 2.500 o 3.200 persone, un’ecatombe – tra il 3 ottobre 2013 ed oggi. Compresi i 268 annegati – uomini, donne e bambini siriani – del naufragio del’11 ottobre nel mare tra Lampedusa e Malta.

Un anno trascorso in “tranquillità”. Altro che l’invasione di migranti del marzo-aprile 2011 che tappezzavano, con i loro stracci e la loro disperazione, la “Collina della vergogna” che sovrasta il porto. Gli sbarchi si contano sulle punte delle dite di una mano, dopo il 3 ottobre 2013. «L’isola – riconosce il sindaco Giusi Nicolini – con “Mare nostrum” ha respirato, non ha dovuto affrontare numeri che per noi sarebbero stati insostenibili. L’operazione ha avuto il merito di dare un po’ di sollievo a Lampedusa. Da un punto di vista normativo però non è cambiato nulla».

“Mare nostrum” è arrivato all’epilogo. Da novembre tocca a “Frontex Plus”. Scende finalmente in campo l’Unione europea. Un’assenza colpevole stigmatizzata da Amnesty International. L’Italia non sarà più sola. Ma il nodo della migrazione epocale di intere popolazioni, che fuggono da guerre e fame, non è sciolto. «La missione di pattugliamento europeo – sottolinea il sindaco Nicolini – non può essere la soluzione. È solo una risposta tampone, di carattere emergenziale, che non risolve il problema».

«Le migliaia di morti nel Mediterraneo – rincara il Consiglio nazionale dell’Arci che ha promosso, con Sabir, la Prima giornata della memoria e dell’accoglienza con lo slogan “Proteggere le persone e non i confini” – si rispettano continuando a svolgere un’attività di soccorso reale e non utilizzando risorse per operazioni come “Frontex Plus” che ha unicamente il mandato di sorveglianza sulle frontiere e non di salvataggio dei migranti».

Quanto accade non sfugge ai lampedusani. Attenti ad ogni refolo. I cambiamenti in arrivo sono parecchi. A cominciare dalla fine dell’operazione “Mare nostrum”. Che si accompagna alla riapertura del Centro di primo soccorso ed accoglienza di contrada Imbriacola, chiuso dopo lo scandalo delle disinfezioni dei migranti nudi in fila che ha travolto la cooperativa “Lampedusa accoglienza”. Da ieri è affidata alla Confederazione nazionale delle Misericordie. Il Cpsa sarà ampliato per accogliere oltre 350 migranti. Per i lavori di ristrutturazione, già a buon punto, sono stati utilizzati 3,7 milioni di euro finanziati dall’Ue attraverso il Pon Sicurezza per lo sviluppo 2007-2013.

Ma ai lampedusani non sfugge neppure l’arrivo di nuove forze dell’ordine e la progressiva e continua militarizzazione dell’isola con l’istallazione di nuovi radar. Segnali che non promettono nulla di buono. Al punto che per sabato è previsto un corteo per le vie del centro e poi una manifestazione a piazza Libertà per protestare contro il sindaco Nicolini e il Governo nazionale che «ci stanno portando – si legge in un volantino – all’esasperazione e al fallimento». I numeri della stagione turistica appena trascorsa sono disastrosi e la paura di mettere a rischio «la nostra vita e quella dei nostri figli» per le emissioni dei cinque radar posizionati in varie parti dell’Isola, completa il quadro.

Giorgio Petta de La Sicilia

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