Last updated on Ottobre 2nd, 2012 at 04:03 pm
Il 2012 segna la conclusione del periodo di validità del protocollo di Kyoto, quell’accordo internazionale sottoscritto da molte nazioni per la riduzione dei gas serra.
Alcuni passi avanti, malgrado la non adesione di alcuni tra i Paesi più importanti come Cina e Usa, sono stati fatti; per esempio la media di riduzione ottenuta dai Paesi europei è del 10 % mentre l’Italia, nonostante una letterale esplosione degli insediamenti fotovoltaici, si attesta introno al 6%, con forti differenze tra le varie regioni.
C’è da chiedersi se le strategie utilizzate sono state adeguate e quali possano essere le scelte che realmente possano portare ai benefici attesi.
Non c’è dubbio che lo sviluppo di fonti energetiche alternative e le ricerche sul miglioramento delle prestazioni degli involucri edilizi siano una parte della soluzione che però, a giudicare dai risultati, non pare sufficiente. Per una serie di motivi.
Partendo dal fatto che l’Italia è già in gran parte “costruita”; il suo tessuto edilizio è diffuso e consolidato e la parte minimale che ancora si costruirà, anche se fosse fatta di edifici zero-energy, non potrà incidere più di tanto nella riduzione delle emissioni. Occorrerebbe pensare a una grande opera di sostituzione edilizia dei tanti, troppi, edifici obsoleti e energivori con nuovi immobili più efficienti, quella rigenerazione urbana o rottamazione edilizia, che la comunità degli Architetti sin dal Congresso UIA del 2008 a gran voce chiede, sinora inascoltata. E anche se questo per miracolo avvenisse, probabilmente non sarebbe ancora sufficiente se non ripensiamo, globalmente, ai nostri modelli di vita e lavoro.
Se non li ripensiamo in chiave energetica, ad esempio, insieme alla sostituzione edilizia, all’inserimento di un’armatura verde nelle città, che non significa realizzare piccoli o medi spazi verdi non in sistema; se non ripensiamo ai tempi e modi degli spostamenti per lavoro e tempo libero.
Una grossa mano potrebbe darla la reale digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni che ridurrebbe significativamente i tempi e le occasioni di spostamento dei cittadini per e dagli uffici, piuttosto che gli orari di lavoro. In Italia, nel meridione in particolare, siamo troppo legati ancora al modello – lavoro,- pranzo a casa- lavoro – cena-, quattro spostamenti medi, in auto vista la poca efficienza del servizio di trasporto pubblico. Immaginate cosa potrebbero comportare, in termini di riduzione di emissioni da traffico, orari di lavoro continuati, a parte la maggiore disponibilità di tempo libero. Immaginiamo poi di pensare al riutilizzo dell’enorme quantità di energia prodotta e buttata poi via dal sistema industriale e a quanta energia si potrebbe produrre dal rendere i tetti delle industrie elementi di captazione solare.
Ecco, l’insieme sistematico di questi interventi, questo sì, potrebbe segnare una svolta epocale nella riduzione dei gas serra. E’ il modello cui si ispirano alcuni Paesi, ad esempio la Svizzera, in cui il Governo incentiva lo sviluppo delle idee e mette gli stakeholders nelle condizioni di produrre la loro merce, che è costituita da progetti di sistema per l’innovazione. Non solo, ma aiuta concretamente le organizzazioni professionali a esportare questa merce, creando e sostenendo finanziariamente istituti che a questo fine lavorano.
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